La mostra Luigi Ghirri. Il paesaggio dell’architettura presenta in modo inedito la figura di Luigi Ghirri, grazie a un gruppo omogeneo di lavori di architettura e di paesaggio che contraddistinguono l’opera matura del celebre fotografo emiliano. La mostra ha origine dal fondo conservato nell’archivio della rivista “Lotus international”, con cui Ghirri ha collaborato dal 1983 per circa un decennio, e comprende oltre 350 fotografie tra stampe originali e proiettate, integrate da esemplari delle pubblicazioni originali, testi e materiali di lavoro, tra cui pagine di menabò, appunti autografi, ecc. Molte di queste immagini sono inedite, e sono il frutto di ricerche svolte in occasione della mostra presso l’archivio di “Lotus”, della fototeca della Biblioteca Panizzi di Reggio Emilia in cui sono conservati i negativi di Ghirri, e della Triennale di Milano.
I temi della mostra: Ghirri e l’architettura; la committenza; il paesaggio dell’architettura
Nei primi anni ottanta le ricerche del decennio precedente, le quali strutturano visivamente e teoricamente l’opera di Ghirri, sfociano in una serie di lavori dedicati al paesaggio. La ricerca incessante di Ghirri sulla fotografia nei termini di una dialettica perenne, come “immagine impossibile”, enigmatica, attraverso cui è possibile stabilire un rapporto meno stanco con la realtà, prosegue per oltre un decennio in un denso lavoro sul campo e di riflessione sul luogo, così che il paesaggio italiano nei suoi molteplici aspetti diventa per Ghirri il soggetto privilegiato, un tema che egli stesso definisce “un luogo del nostro tempo, la nostra cifra epocale”. Questa apertura avviene anche grazie alla sollecitazione portata da “Lotus” e dal mondo degli architetti, quando nel 1983 Ghirri riceve l’incarico di fotografare il cimitero di Modena di Aldo Rossi e successivamente le opere di altri autori, stabilendo un rapporto destinato a durare nel tempo. L’intensità e l’originalità di questa collaborazione sono testimoniate dalle molte pubblicazioni realizzate in quegli anni, alcune delle quali appaiono oggi come esperienze importanti per Ghirri, e d’altra parte si sono configurate per gli architetti come occasioni di maturazione di un modo più libero di concepire il paesaggio e l’architettura, divenendo in seguito oggetto di un vero e proprio culto. Le fotografie che legano Ghirri e “Lotus”, dunque, restituiscono visibilità al lavoro che il fotografo modenese ha svolto nell’ambito dell’architettura, mostrando come questo rappresenti una delle esperienze più intense della sua opera matura, in cui il paesaggio occupa uno spazio tanto preminente da motivare una rilettura delle ricerche precedenti. La vicenda della committenza è particolarmente interessante perché Ghirri non nasce come fotografo professionista di architettura, ma si forma nell’ambito di altre esperienze, sviluppando ricerche e riflessioni che lo porteranno a rivolgersi autonomamente al paesaggio e all’architettura, sollecitando l’interesse e condividendo gli obiettivi di chi si occupava di riflettere sull’architettura e sulla sua rappresentazione. L’incontro con “Lotus”, in effetti, non solo porterà Ghirri a realizzare diversi servizi fotografici su singoli interventi architettonici, ma a fotografare le esposizioni della Triennale, cui partecipa anche come autore e curatore, e a curare progetti editoriali. La presenza di una committenza di architettura, contigua e intrecciata alle ricerche autonome dell’autore, permette di comprenderne la figura in modo più completo, mostrando come abbia affrontato i due ambiti in modo coerente, con continui spostamenti e prelievi tra l’uno e l’altro. Che l’ambito editoriale legato all’architettura sia stato un riferimento è testimoniato dalla pubblicazione delle immagini e dei testi di Paesaggio italiano, che Ghirri concepisce come il suo primo vero libro d’autore, in una collana di monografie dedicate agli architetti. Un volume che, d’altra parte, fu lungimirante sia per l’eccezionalità dell’autore, sia perché poneva all’attenzione del pubblico il problema dello sguardo sul paesaggio. Per questa ragione le fotografie della mostra devono essere comprese insieme alle pubblicazioni e ai materiali di lavoro, mettendo in relazione il talento di Ghirri con l’ambito editoriale e critico da cui il suo lavoro sull’architettura è scaturito, smentendo l’idea che la sua opera si sia sviluppata in una condizione di totale autonomia ‘poetica’, senza relazioni con altre realtà di ricerca, e senza costrizioni. La contiguità tra l’àmbito documentario, di ‘servizio’, e quello più interpretativo e di elaborazione poetica è, in effetti, un tema intimamente fotografico, la cui negazione è alla base di una concezione equivoca della fotografia come puro atto creativo, e che sarebbe riduttiva per un’opera innovativa e stratificata come quella di Ghirri, il cui contenuto problematico è di grande attualità. Il terzo tema, infatti, il più importante e che dà titolo alla mostra, riguarda la visione paesaggistica portata da Ghirri all’architettura. La chiave per comprendere l’importanza delle sue ricerche è riconoscere la capacità di elaborare un piano di lettura del paesaggio in cui l’architettura, nelle sue diverse forme e nei suoi diversi tempi, è ricollocata nel presente. Ghirri ha potuto portare un rinnovamento dello sguardo basato non più su una riduzione e un’esclusione degli infiniti soggetti del mondo, ma sulla loro inclusione in un’immagine attuale. Ghirri ha sperimentato come la fotografia sia un atto che mette in movimento e tiene insieme tempi diversi, un concetto che diventa più evidente proprio in Italia, dove i segni della storia e del presente sono sempre intrecciati. Le sue immagini includono una molteplicità inedita di soggetti e di modi di apparire alle diverse ore del giorno e in particolari condizioni atmosferiche, insistendo sul concetto di temporalità, ma la grande estensione di ciò che Ghirri mostra essere paesaggio risulta coerente a livello iconografico, perché pertiene a un obiettivo di ricerca unitario e allo sguardo di un osservatore partecipe. Il valore e l’unicità del suo sguardo risiedono nell’aver trovato, più che una cifra stilistica, un metodo conoscitivo della realtà, il cui obiettivo non è di tipo artistico, ma piuttosto filosofico, cioè di continuare a porre domande. Nelle sue immagini la storia si riconfigura attraverso il montaggio di una materia iconica disparata e disomogenea, lontana da quella “rimozione del presente” che spesso caratterizza il lavoro e l’iconografia degli architetti e degli storici. Presi davvero sul serio, questi lavori rimettono in discussione le convenzioni del sistema estetico e rappresentativo dell’architettura e del paesaggio, e con esso l’idea di realtà che ne è la premessa implicita.
Il lavoro sull’architettura contiene anche un altro elemento problematico, perché si tratta di un soggetto che porta il fotografo a confrontarsi con un altro pensiero, se non il diretto pensiero dell’architetto, quello che attraverso il manufatto architettonico arriva a darsi ed esistere nel mondo esterno. Lavorando sull’architettura Ghirri ebbe dunque modo di conoscerla a fondo, e di considerarla come un sistema espressivo più attuale di altri linguaggi proprio per la sua condizione di apertura al mondo, e per il suo essere “quotidianamente messa alla prova, abitata, guardata e usata”. Ghirri ha così elaborato un nuovo modo di guardare, capace di mostrare il presente dell’architettura e di comprenderne la realtà in relazione ai fenomeni e agli aspetti contraddittori dei paesaggi. Questa capacità era evidente negli anni ottanta, quando la disciplina era investita da una forte tendenza all’autonomia e all’idealizzazione, ma è un insegnamento sempre attuale, un’apertura che assume un preciso valore ideologico e politico. A distanza di decenni, nell’attuale dominio iconico nell’ambito dell’architettura e dei paesaggi urbani, essa assume un valore ancora più profondo di disvelamento della realtà e delle immagini che la costituiscono. Se da un lato i fotografi hanno radicalizzato una certa visione astratta dell’architettura, è sufficiente osservare il modo in cui le trasformazioni in corso in molte città finiscono per farle assomigliare a un’immagine, rovesciando il tradizionale rapporto tra realtà e rappresentazione, per constatare il valore anticipatorio del realismo di Ghirri, in cui il mondo si mostra nei suoi aspetti illusori, pittorici e fotografici. È la sua intera opera a dirci quanto l’atto del guardare sia all’origine dell’architettura e del paesaggio, concepiti come costruzioni culturali complesse e stratificate, delle quali la fotografia rappresenta una chiave conoscitiva aperta a diverse interpretazioni e letture, qualcosa che Ghirri viveva come uno stato di necessità, un’etica. La fotografia, come l’architettura stessa, può trovare il proprio ambito in un orizzonte estetico allargato e mutevole, che origina dell’interno domestico giungendo a confrontarsi e a confondersi con l’esterno.
Le sette sezioni della mostra
La mostra è strutturata in sette sezioni. La prima sezione, intitolata “Un’idea dell’Italia”, è il centro della mostra e raccoglie i materiali originali di Paesaggio italiano, il Quaderno di “Lotus” pubblicato da Ghirri nel 1989 in occasione dell’omonima mostra tenutasi a Reggio Emilia. Si tratta di una pubblicazione preziosa e irripetibile perché, oltre alle sue fotografie e ai contributi di autori come Gianni Celati, Aldo Rossi e Lucio Dalla, comprende alcuni suoi testi e diverse altre immagini scelte da Ghirri stesso attraverso cui il fotografo emiliano ci permette di comprendere l’orizzonte dei suoi riferimenti visivi, letterari e filosofici. La seconda sezione, intitolata “La grande pianura”, è dedicata ai servizi fotografici svolti da Ghirri sui progetti di Aldo Rossi a Modena e a Parma su commissione della rivista. Il lavoro sul cimitero di Modena (1983) segna l’inizio del rapporto di Ghirri con “Lotus”, ma anche con Aldo Rossi, due relazioni destinate a durare, e rende subito evidente lo scarto della visione di Ghirri nel rappresentare l’architettura. Le ricerche sui negativi originali hanno permesso il recupero di fotografie che furono pubblicate in bianco e nero o in piccolo formato, e che appaiono oggi come veri e propri manifesti. La terza sezione è dedicata al servizio svolto da Ghirri nel 1983 sul cimitero-tomba Brion di Carlo Scarpa a San Vito di Altivole. Si intitola “Nel Giardino” perché l’intero servizio è orientato a mostrare l’architettura e i frequenti scorci e sguardi che essa apre sugli elementi del giardino, così che l’elaboratissimo disegno scarpiano appare nella sua concezione di hortus conclusus.
La quarta sezione è dedicata al servizio fotografico del 1988 sulle opere di Jože Plečnik di sistemazione del lungofiume di Lubiana. La sezione è intitolata “Il percorso”, perché Ghirri ha rappresentato narrativamente il lavoro dell’architetto lungo un ampio tratto della Ljubljanica, restituendolo come un progetto unitario costruito su una sequenza di episodi, un tema che si presta molto bene all’attitudine narrativa del fotografo emiliano.
La quinta sezione “Nel progetto domestico” si basa sulle stampe originali del servizio realizzato nel 1986 in occasione della mostra Il Progetto Domestico. La casa dell’uomo: archetipi e prototipi della XVII Triennale di Milano. La mostra presentava gli allestimenti di ventisette architetti, designer e artisti internazionali (tra cui Aldo Rossi, Mario Merz, George Segal, Ettore Sottsass, Diller & Scofidio, Daniel Libeskind, Achille Castiglioni, Peter Eisenman, Rem Koolhas, John Hejduk) sul tema dell’abitare e fu pubblicato sul Quaderno di “Lotus” Paesaggio d’interni dedicato alla mostra.
Questo lavoro è di particolare rilievo perché segna il rapporto di Ghirri con un ambito di ricerca d’avanguardia come quello della Triennale di quegli anni, e ricollega le sue ricerche sugli interni al dibattito e alle sperimentazioni sull’abitare in corso nel mondo dell’architettura e dell’arte. “La Triennale e il parco” presenta una selezione di immagini inedite di un ampio servizio realizzato nel 1986 sulla Triennale, in cui Ghirri non si limita a fotografare il Palazzo dell’Arte, ma ritrae l’architettura in rapporto al parco Sempione, fotografa il parco stesso, e tocca anche diversi altri edifici, monumenti e opere contenute nel parco, tra cui il Castello Sforzesco, l’Arco della Pace, la fontana dechirichiana dei Bagni Misteriosi ecc. Nell’ambito delle ricerche della mostra questo lavoro è parso interessante perché Ghirri affronta la rappresentazione di un edificio tanto connotato come il Palazzo dell’Arte allargando lo sguardo a tutto il paesaggio circostante.
L’ultimo capitolo “Atlante Metropolitano” presenta le sequenze dell’Atlante fotografico delle metropoli, la sezione fotografica curata da Luigi Ghirri per il Quaderno di “Lotus” Atlante Metropolitano, che comprende fotografie sue e di altri autori internazionali sul tema della città e della metropoli. L’intenso lavoro curatoriale svolto da Ghirri durante gli anni ottanta mostra come egli non si limitasse a fotografare, ma fosse uno dei protagonisti più attivi della fotografia italiana, riconoscendo il lavoro di altri fotografi e promuovendo una visione della realtà basata su un insieme di approcci eterogenei. Atlante metropolitano presenta anche una selezione di rare fotografie di Ghirri scattate negli Stati Uniti che assumono un particolare significato perché sembrano anticipare quella condizione di frammentazione e incompiutezza della metropoli divenuta nei decenni successivi un aspetto imprescindibile delle ricerche fotografiche sulla figura urbana.
[…] Anonimo, Grand Central Terminal-New York, 1929 Luigi Ghirri, Parco Villa Aggazzotti, Formiginehttps://www.fotonews.blog/il-paesaggio-dellarchitettura-scheda-critica/ Posted in Selfmade. Share NextThe Shape of Water var _gaq = _gaq || []; […]