Non Fotografare

In questi giorni sto preparando dei corsi di fotografia che a breve saranno online – tranquilli, vi avviso!

Mi è capitata tra le mani questa poesia, che inserisco sempre in coda alle slide del mio corso base. Una poesia che racchiude molti dei miei pensieri sulla fotografia… non è mia, non sono un poeta, ma del compianto Ando Girardi, fotografo fondatore della fototeca storica nazionale, giornalista e grande appassionato di fotografia.

Allora ho pensato di condividerla con voi.

Perchè se è vero che la fotografia è un modo per raccontare e raccontarsi, credo non si debbano mai perdere di vista alcuni valori come l’etica, il rispetto, l’umiltà e la gratitudine.

Ora forse è un po’ estrema, ma se leggiamo tra le righe credo che potremmo tutti fare una piccola marcia indietro, non sempre ma in alcuni casi, molti di questi mascherati sotto i nomi “street” o “reportage”.

Come sempre è un mio pensiero…

Buona lettura

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Non fotografare

Non fotografare gli straccioni, i senza lavoro, gli affamati. Non fotografare le prostitute, i mendicanti sui gradini delle chiese, i pensionati sulle panchine solitarie che aspettano la morte come un treno nella notte. Non fotografare i neri umiliati, i giovani vittime della droga, gli alcolizzati che dormono i loro orribili sogni. La società gli ha già preso tutto, non prendergli anche la fotografia.
Non fotografare chi ha le manette ai polsi, quelli messi con le spalle al muro, quelli con le braccia alzate, perché non possono respingerti. Non fotografare il suicida, l’omicida e la sua vittima. Non fotografare l’imputato dietro le sbarre, chi entra o esce di prigione, il condannato che va verso il patibolo. Non fotografare il carceriere, il giudice e nessuno che indossi una toga o una divisa. Hanno già sopportato la violenza, non aggiungere la tua. Loro debbono usare la violenza, tu puoi farne a meno.
Non fotografare il malato di mente, il paralitico, i gobbi e gli storpi. Lascia in pace chi arranca con le stampelle e chi si ostina a salutare militarmente con l’eroico moncherino. Non ritrarre un uomo solo perché la sua testa è troppo grossa, o troppo piccola, o in qualche modo deforme. Non perseguitare con il flash la ragazza sfigurata dall’incidente, la vecchia mascherata dalle rughe, l’attrice imbruttita dal tempo. Per loro gli specchi sono un incubo, non aggiungervi le tue fotografie.
Non fotografare la madre dell’assassino, e nemmeno quella della vittima. Non fotografare i figli di chi ha ucciso l’amante e nemmeno gli orfani dell’amante. Non fotografare chi subì ingiuria: la ragazza violentata, il bambino percosso. Le peggiori infamie fotografiche si commettono nel nome del “diritto all’informazione”.
Se è davvero l’umana solidarietà quella che ti conduce a visitare l’ospizio dei vecchi, il manicomio, il carcere, provalo lasciando a casa la macchina fotografica.
Non fotografare chi fotografa: può darsi che soddisfi solo un bisogno naturale.
Come giudicheremmo un pittore in costume bohemien seduto con pennelli, tavolozza e cavalletto a fare un bel quadro davanti alla gabbia del condannato all’ergastolo, all’impiccato che dondola, alla puttana che trema di freddo, a un corpo lacerato che affiora dalle rovine? Perché presumi che il costume da freelance, una borsa di accessori, tre macchine appese al collo e un flash sparato in faccia possano giustificarti?

– Ando Girardi

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